Finanziare “dal basso” la costruzione di un Centro d’Incontro: nasce un’orchestra
Quando a Omegna, nel primo dopoguerra, un certo don Giuseppe realizzò il suo sogno, mettere in piedi un complesso vocale e strumentale di oltre cento elementi, certo non immaginava che alcuni dei suoi ragazzi, molti anni dopo, avrebbero realizzato il sogno di ogni musicista dilettante: suonare in una vera orchestra. Proprio col ritorno alla musica di alcuni di quei “ragazzi”, nati perlopiù all’inizio del ‘900, si verificò la risposta all’appello “c’è bisogno di voi” che ricorreva con frequenza, nell’Omegna degli anni 70, da parte della Pro Senectute. C’era da costruire un centro d’incontro, perbacco, e non si doveva chiedere danaro a nessuno, pubblico o privato che fosse. Si doveva lavorare e, con il ricavato, finanziare un’opera stimata, nel 1975, in 100 milioni di lire. L’appello rimbalzò da Giuseppe Ricca, che non aveva mai del tutto abbandonato il suo violino anche dopo l’esperienza giovanile, ad altri “ragazzi” come lui (classe 1905) e nel giro di poche settimane una decina di nostalgici dell’archetto accettò di riunirsi intorno a Romano, figlio di Giuseppe e musicista di professione, per una chiacchierata. Vogliamo tentare ancora, con la musica?
- Ma no, è troppo tempo che non suoniamo…..
- Forse possiamo farcela, ma debbo capire a che punto siete
- Siamo troppo vecchi, è inutile
- Facciamo una prova, almeno, poi si decide
Il tiramolla si concluse positivamente. Accettarono di fare una prova e fu un disastro ma nessuno glielo disse: se vuoi mettere su un’orchestra con dei vecchi strimpellatori, oltre ad essere musicista devi essere anche psicologo. E Romano Ricca riuscì a galvanizzare quelle persone nel solo modo possibile: riscrivendo gli arrangiamenti delle prime canzoni affrontate, in modo da valorizzare, di ciascuno, le residue capacità, e mettendone contemporaneamente in ombra i limiti. Prova e riprova, il primo concerto si tenne al Sociale nel dicembre 1976. Il riascolto di quel nastro commuove: tante stecche ma anche tanto affetto da parte di un pubblico che seppe premiare più il coraggio che le qualità artistiche. Altrettanta emozione si prova confrontando quella prima esecuzione con il long play inciso 10 anni dopo. Eppure si dice che da vecchi non c’è crescita, che al massimo di amministra ciò che si è acquisito nelle età precedenti. “Il Cuore in Concerto”, questo il titolo del long play, citato anche in alcuni testi di antropologia culturale, smentisce il medico e il biologo. Soprattutto smentisce il pregiudizio, quando vorrebbe sostenere che, nell’anzianità, non ci può essere crescita. Il percorso dei 15 anni di “Omegna Cara”, che seppe rimotivare vecchi strimpellatori portandoli alla grande musica e, contemporaneamente, procurare milioni di lire alla Pro Senectute, meriterebbe, da solo, un intero volume.