Dell'esperienza della Pro Senectute sono stati citati alcuni progetti, forse i più emblematici, ma il quadro è largamente incompleto poiché in un quarantennio le iniziative sono state decine, forse centinaia.
Vale la pena di citarne soltanto un'altra, "Un premio chiamato vita", per il ruolo che in questa giocò la ricerca, un'attività alla quale tutti gli anziani desiderosi di misurarsi con il nuovo, il mai vissuto, dovrebbero essere indirizzati.
Lo spunto iniziale fu fornito nel 1980 dall'Assessore Regionale all'Assistenza che, in previsione dell'anno internazionale dell'anziano, voleva inserire un'iniziativa che fosse contemporaneamente educativa e promozionale nell'ambito di un progetto "Terza età attiva" che doveva rappresentare un suo preciso cavallo di battaglia.
Diversi agenti di ricerca, formazione e promozione culturale, tra i quali la Pro Senectute di Omegna che infine fu prescelta, furono invitati a presentare progetti
L'obiettivo che si voleva raggiungere era molto ambizioso ed è lo stesso del quale lo Stato, 30 anni e oltre più tardi, ancora non si fa carico, dovendo gestire grandi masse di individui che approdano alla pensione con una apprezzabile speranza di vita davanti, senza un progetto che, valorizzando le loro capacità, tenga conto degli anziani come risorse autentiche della società.
Incoraggiati dall'eccezionale recupero di autostima realizzato dagli anziani della Pro Senectute di Omegna, dalla complessità e ricchezza dei progetti nei quali si attivavano a favore della comunità, si puntava a riprodurre la realtà omegnese nei sette comuni sedi di altrettante USL della Provincia di Novara, al fine di dar vita ad altrettanti gruppi di anzianato attivo.
Dal successo di quella iniziativa poteva prendere l'avvio un programma generalizzato di animazione socio culturale sul territorio regionale che avrebbe potuto portare il Piemonte con molti anni di anticipo a porsi come la prima regione che si dava consapevolmente un progetto organico di mobilitazione degli anziani in progetti di utilità sociale.
Per assicurare all'iniziativa l'indispensabile costanza di presenze si scelse la strada del concorso a premi.
Se gli appuntamenti verranno vissuti all'insegna del gioco e della competizione, si pensò, non si avvertirà la stanchezza che tante volte sopraggiunge durante un normale percorso formativo. Se poi c'è l'attesa del premio finale a tenere vincolate le persone iscritte al concorso, aumenteranno le probabilità che gli iscritti si appassionino e rimangano legati alla proposta fino in fondo.
Il presupposto a monte della progettazione era che una persona anziana può essere portata all'impegno se vive informata, supportata dalle necessarie conoscenze in un contesto di relazioni significative e che in un tale contesto può collocarsi soltanto se gode buona salute e non è afflitta da altri gravi problemi.
Ecco perché il concorso veniva strutturato in tre sezioni: una prima che mirava alla tutela della buona salute; una seconda che facilitava la conoscenza e il miglior uso degli strumenti di informazione e di crescita culturale; una terza fase che a una persona sana, bene informata e integrata nel suo ambiente, proponeva l'impegno solidale come modo originale per interpretare l'anzianità.
Le tre sezioni erano animate da operatori della Pro Senectute affiancati da tre insegnanti distaccati dalle loro sedi dall'autorità scolastica.
In ciascuna delle tre sezioni erano scarsissime le ore di formazione in aula, essendo previsto il massimo coinvolgimento degli anziani iscritti in esercitazioni, tesi, prove diverse, ricerche soprattutto all'esterno del centro di ritrovo abituale.
La principale difficoltà in fase di regolamentazione fu quella di mettere tutte le persone sullo stesso piano nonostante le profonde diversità di risorse sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista intellettuale e del bagaglio culturale.
Era necessario che l'operaio, l'artigiano, l'impiegato, il professionista potessero misurarsi tra di loro senza mortificarsi e senza mortificare. Era necessario che il disabile potesse competere fiduciosamente anche se erano previste prove che impegnavano una certa prestanza fisica.
Lo studio degli ammortizzatori attraverso i quali restituire pari opportunità a persone tanto diverse fu sicuramente l'impegno più affascinante nelle fasi di progettazione.
Quando la regolamentazione fu messa a punto e le tre équipe che dovevano animare le tre sezioni del concorso furono composte, preparate ed adeguatamente armonizzate e integrate fra di loro e il programma era in grado di partire, si presentò un problema.
La campagna pubblicitaria affidata a uno studio professionale, sensibilizzato con largo anticipo e che aveva assegnato il compito di ideare e visualizzare i messaggi a designer e copywriter di provata esperienza, fallì.
Due settimane prima della data fissata per l'inizio del concorso gli iscritti erano appena poche decine. Un'operazione che aveva comportato fino a quel momento grandi investimenti soprattutto di risorse umane ma anche di risorse finanziarie rischiava di risolversi in un fiasco.
A quel punto la Pro Senectute, senza interpellare il committente, decise di giocare pesante: comprò una mezza pagina della Stampa di Torino e fece pubblicare con la massima evidenza un messaggio che mandò in fibrillazione l'assessore regionale. Contemporaneamente fu improvvisata un’azione di teatro di piazza, che venne poi allestita nelle 7 città.
Nel giro di pochi giorni le iscrizioni raggiunsero e oltrepassarono il numero previsto per lo svolgimento ottimale del concorso e il rischio di fallimento fu scongiurato.
Quante sono le iniziative che vanno a fallire perché manca quella briciola di coraggio in più? Questa vicenda testimonia della necessità che qualche volta, pur agendo entro i confini del lecito, anche nel sociale si imbocchi la strada che serve a raggiungere l'obiettivo, a costo di un pizzico di trasgressione.
Il programma poté così passare alle fasi di attuazione nel rispetto dei tempi previsti e la formula proposta, il concorso a premi, rivelò fin dalle prime mosse la sua efficacia. Al contrario di quanto avviene normalmente per analoghi programmi di animazione, che debbono registrare nelle prime fasi andamenti variabili, ma costanti, di decadenza, "Un premio chiamato vita" dovette fare i conti anche dopo l'inizio con nuove inattese richieste di iscrizione.
Le tre sezioni che per semplicità vennero chiamate la salute, la cultura, l'impegno, registrarono fin dall'inizio un livello di partecipazione entusiastico.
La prima sezione prevedeva momenti di educazione sanitaria ma anche indagini sull'alimentazione e sul rapporto tra i singoli soggetti e il sistema sanitario.
Le frequenti escursioni all'esterno per sperimentare i vantaggi della attività fisica all'aria aperta fornivano strumenti per attivare i concorrenti nelle fasi successive, come accadde quando furono condotti in un pomeriggio di ottobre a raccogliere dagli alberi e dai cespugli le foglie con i colori dell'autunno. Le foglie fornirono poi la materia prima a quanti, nella sezione dell'impegno, insegnarono come si poteva arrivare a realizzare sorprendenti composizioni, alcune delle quali ricordavano vere e proprie opere d'arte.
La sezione cultura, che prese l'avvio con la realizzazione di un "giornalone" ottenuto assemblando articoli ritagliati da altri giornali attraverso un'abile guida non soltanto alla lettura ma anche alla comprensione e alla stessa espressione, portò nelle sette sedi alla redazione di elaborati originali ricchi di sincerità e a volte di veri e propri spunti poetici.
Ma la sezione che registrò un percorso di autentica crescita fu la terza: l'impegno.
Dalla iniziale realizzazione di collage, composizioni, oggetti di piccolo artigianato si passò gradualmente a una ben diversa forma d'impegno, l'avvio della conquistata consapevolezza che essere vecchi non è una sciagura, ma può essere una fortuna. Essere vecchi, sani e informati può significare essere in grado di regalare attenzione e premura a chi sta peggio di noi. E, una volta presa coscienza delle nostre risorse, maturare la decisione d'investire parte del nostro tempo per dare sostegno a quanti -vecchi e giovani - possono avere bisogno proprio del nostro aiuto.
A questa risoluzione i gruppi pervennero dopo avere sviluppato autonomamente, con la guida esterna degli animatori, una vera e propria ricerca sulle povertà e i bisogni della comunità. In questa sede non c'è lo spazio per descrivere, come si dovrebbe, il processo che portò alla presa di coscienza, da parte di molti, del ruolo che un anziano può avere nella comunità e che portò infine alla mobilitazione in progetti concreti.
Ai fini del concorso ciascuna performance individuale dava luogo a un punteggio; la somma dei punteggi individuali, beninteso rapportata al numero degli scritti, dava luogo a un punteggio di gruppo che consentì, alla fine, di stilare una graduatoria tra le sette sedi impegnate nel concorso.
Incomprensioni e piccoli incidenti ci furono, soprattutto all'inizio, ma via via che il programma procedeva si manifestava una crescita della disponibilità e della tolleranza, sia tra singoli concorrenti che nei confronti dei promotori del concorso.
Per esprimere la sua riconoscenza un anziano concorrente di Novara continuava a regalare agli animatori i biglietti della lotteria; questo era il suo modo di augurare la fortuna che, a suo giudizio, tutti loro meritavano.
La scoperta della solidarietà attiva, come bisogno latente nelle persone anziane, fu il risultato di quella ricerca. Da allora la Pro Senectute denunciò lo stupido atteggiamento di quanti, per conquistare gli anziani, si prodigano demagogicamente a secondarne i capricci e le pigrizie, a elargire benefici, gratificazioni, facilitazioni e alibi, a volte diseducativi, a volte addirittura deresponsabilizzanti, quando il bisogno profondo di tante persone potrebbe risiedere più nel dare che nel ricevere.
Ecco dunque che i cittadini anziani dovrebbero essere educati alla ricerca a prescindere dal bagaglio di conoscenze tecniche e metodologiche di cui dispongono. Attraverso percorsi di ricerca strutturati sulle possibilità dei singoli soggetti, gli anziani possono aspirare ad essere liberati, proprio nell'ultima età, da soggezioni, condizionamenti e vincoli che troppe volte impediscono di decidere e scegliere in autonomia e piena libertà.
La prima fondamentale ragione che dovrebbe incoraggiare le persone anziane, possibilmente associate, a scegliere la strada della ricerca, consiste nel bisogno di acquisire gli strumenti necessari a conoscere se stesse, a riconoscere le loro aspirazioni e, di conseguenza, indirizzare le loro scelte.
In un ambiente caratterizzato da livelli crescenti di omologazione culturale, per l'invadenza dei mezzi di comunicazione sempre carichi di suggestività, ci si illude di partecipare, ma poi si deve constatare di essere stati strumentalizzati. E particolare è il malessere che si manifesta in coloro che sono esclusi dai processi produttivi, ai quali si ispira e si indirizza l'attenzione dei mass inedia.
Se l'università della terza età accettasse di diventare ovunque strumento democratico di liberazione e autopromozione delle persone anziane, potrebbe svolgere un ruolo prezioso sotto forma di riparazione e compensazione sociale. Talvolta, si riduce a centrale di erogazione di nozionismo puro e semplice. In taluni casi viene da pensare che, anche in questo campo, si manifesti quel diffuso malinteso secondo il quale la felicità consisterebbe nel prendere il più possibile, anche in senso nozionistico, per avere per noi il massimo. Una concezione "verticale" della felicità, che mette una sull'altra, ammonticchiate, tutte le cose che è possibile acquisire, e finisce per proiettare, anche nell'età anziana, i miti consumistici e i modelli meritocratici delle età precedenti.
E' di questo che ha bisogno l'uomo che invecchia?
E' questo che va cercando nel momento in cui, allentata la morsa della competizione carrieristica, s'accorge che molti miti erano effimeri e potrebbe, per la prima volta, essere, finalmente, risorsa creativa per sé e per gli altri?
L'università della terza età può fornire risposte autorevoli a questo interrogativo se, pur senza trascurare il legittimo desiderio di apprendere di alcuni, favorirà l'accesso indiscriminato alla ricerca, per la miglior conoscenza e promozione di sé, da parte di tutti gli anziani che dispongano di un minimo di curiosità e di una scintilla di intelligenza critica.
L'utilizzo della ricerca come strumento di autopromozione degli anziani, non è contrastato soltanto dal pregiudizio che vorrebbe la persona avanti negli anni impacciata nell'affrontare per la prima volta un'attività sconosciuta, quando non addirittura preclusa all'apprendimento di metodologie e tecniche nuove (un pregiudizio diffuso fino a qualche tempo fa voleva la persona anziana capace soltanto di amministrare quanto aveva "incamerato" negli anni della giovinezza). Ma un altro ostacolo alla sperimentazione del nuovo, del mai vissuto, alla sfida inusuale, coraggiosa e magari un po' trasgressiva, è rappresentato dalla funzione tutelare svolta in perfetta buona fede, ma tante volte in desolante mediocrità, proprio da coloro che dovrebbero essere agenti del cambiamento. Costoro, mentre assumono la rappresentanza degli anziani, dovrebbero essere i più solleciti propagandisti del gusto di sperimentare, di osare, di rischiare per individuare così possibilità e vincoli e su questi progettare.
Ecco un'altra ragione per promuovere la ricerca nelle università della terza età. Attraverso la ricerca, che fornisce strumenti critici, che favorisce il confronto, che conduce alla creatività e alla liberazione, gli anziani potranno prendere le distanze da falsi profeti; impareranno ad apprezzare il bravo animatore che tante volte non ha il dono istrionico di sedurre al primo impatto.